recensioni sulle chine di ferro


 

Prof.Carlo Lapucci                                                         Montepulciano, 7 settembre 2023

 

 

 

 

 

                                                          L’addio al mondo della Natura

 

 

 

                                     Lettura della china di ferro di Esmeralda di Milo Manara

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre cose sono incomprensibili

 

e una quarta è un vero mistero:

 

il tragitto dell’aquila nell’aria,

 

il segno del serpente sulla sabbia,

 

la traccia della nave nel mare

 

e il cammino dell’uomo verso la donna.

 

 

 

                                                                                             (Proverbi XXX, 18-19)

 

 

 

 

 

In questa analisi si presuppone quanto da molti è ormai ammesso, o quantomeno non escluso, per inequivocabili indizi: che l’essere umano abbia in sé un dominio vasto, complesso, di memoria inconscia, personale e collettiva, di reminiscenze ancestrali, imprinting indelebili di cui la coscienza non ha padronanza, ma che pure agiscono in lui, nel pensiero e nell’attività, al di fuori della consapevolezza dell’uomo, che li vive e li esprime involontariamente, soprattutto quando, come artista, apre le gabbie degli autocontrolli, rompe le sbarre dei timori, delle opportunità, delle convenzioni e annulla i meccanismi inibitori che dominano l’individuo sociale.

 

Ce lo hanno detto le ricerche delle menti più acute: Freud con la teoria dell’inconscio, De Saussure e Levy Strauss con le strutture profonde, i test, le macchie d’inchiostro simmetriche di Rorschach,1 la narrativa col monologo interiore. Più interessante è la teoria del Grande Codice di Northrop Frye, il critico americano2 più geniale che abbia guardato alla radice della creazione artistica, afferma, sulla scorta di Blake, che “Il Vecchio e il Nuovo Testamento sono il grande Codice dell’arte”. Vale a dire che l’Occidente cristiano, a partire dall’era volgare ha mutuato, assorbito, assimilato, introiettato tanto decisamente le strutture profonde della Bibbia da farle divenire a loro volta gli schemi profondi dell’animo occidentale, qualcosa di simile agli schemi degli strutturalisti oppure alla materia dell’introiezione freudiana.

 

Questo significa che a nostra insaputa andiamo trascrivendo nel nostro tempo, aggiornando e rivivendo le vicende, ripetendo gli schemi di uno stesso libro che è a fondamento della nostra civiltà. Tutte le epoche hanno il proprio codice e gli elementi fondamentali, i principi interpretativi, le strutture, le classificazioni, le correlazioni, le tavole di valori, derivano tutti da quello: “concezioni come anima, mente, tempo, coraggio, emozione o pensiero”3 sono tutte ancorate a quel documento e da quello prendono luce e significato”.

 

Senza scomodare i saggi estetici di Freud su Leonardo da Vinci e altri, i pedagogisti sanno bene come i bambini riproducano simbolicamente le loro condizioni familiari, gli stati d’animo, i sentimenti, i rapporti con gli adulti e l’ambiente, nei loro disegni apparentemente approssimativi, stravolti, arbitrari, interpretando accuratamente i quali si può giungere ai loro problemi inavvertiti, nascosti, inespressi.

 

 

 

Cercando di chiarire paradossalmente, l’interpretazione dei ritrovamenti archeologici di civiltà sconosciute potrebbe costituire l’esempio di una condizione asettica con cui interrogare un’espressione artistica: eliminando gli elementi secondari, le incrostazioni della civilizzazione d’appartenenza, la filologia dei riferimenti storici culturali, occasionali successivi, stabilendo un contatto immediato, puntare al cuore del fondamentale messaggio, al di là anche delle intenzioni e dei programmi dell’ignoto autore.

 

Tale operazione tento di fare su questa china di ferro Esmeralda di Giulio Pellegrini. Si tratta dell’immagine d’apertura di un saluto amichevole, un omaggio a Hugo Pratt in tre tavole di Mino Manara dal titolo Rasputin.4

 

Esmeralda è un personaggio di Pratt che appare nelle storie di Corto Maltese, con cui Manara, nel 1979, introduce in una citazione evocativa, varie figure dello stesso autore, che aspettano il suo ritorno per poter continuare a vivere: ne parlano, lo ricordano e lo attendono.

 

Da questa prima scena fu tratto anche un poster dagli stessi Editori. L’altra figura che qui compare è Rasputin, personaggio storico degli ultimi anni dell’impero russo, adottato da Pratt per le sue storie, con alcuni aspetti di quello che fu il reale personaggio sconcertante della corte zarista, che finì soppresso da una congiura di nobili. La vicenda si chiude proprio con Rasputin che, nella plaga deserta della sua solitudine, seduto solo davanti al mare, dice:

 

- … e mi dirà: - Sei elegante con quell’impermeabile! … E partiremo, io e lui, per un’altra storia bellissima…

 

 

 

Siamo di fronte a una scena che avvince, senza rivelare il proprio enigma: ognuno vi trova rispecchiato il proprio mistero, che spesso coincide solo in parte con quello che vi trovano altri; pure tutti restano presi dal fondo oscuro e abbagliante di quell’immagine.

 

Considerando solo la percezione oggettiva della scena, spogliata dei riferimenti contestuali, episodici, i particolari del passaggio attraverso diverse mani, essenzializzando gli elementi, viene fuori una specie di mandala figurativo e onirico, che rappresenta efficacemente un aspetto fondamentale d’un dramma della nostra epoca.

 

Vi si legge semplicemente una donna immensa nella sua bellezza, nella sua tranquillità in una sorta di paradiso terreno di flora, di fauna, d’oggetti raffinati. Di fronte a lei, ma lontano, incerto, in una plaga abbagliante, avanza un uomo solo (che nella vicenda è Rasputin), cercando di raggiungere la figura femminile che lo sovrasta per grandezza, gloria, lontananza.5

 

Basterebbe questo ideogramma per costituire la base di infinite relazioni della coppia umana: cercheremo d’offrirne uno che ci pare essenziale. Le figure principali infatti, nella simbologia elementare dei selvaggi e dei bambini, rappresentano, come Adamo ed Eva, ciascuna la parte del proprio genere. Sempre continuando la nostra lettura, quello che stupisce è il valore sproporzionato in cui si trovano le due figure, in netta contrapposizione con il rapporto in cui le vedono le autorità culturali e morali, nonché le masse ai nostri giorni: la donna è trionfante, sicura e calma in alto e l’uomo, scomposto, affaticato, arranca verso lei come verso un miraggio. La sua ombra dice che è in un’aria assolata, le sue orme indicano una rena arida, con una sola pianta, una specie di fiore, come nell’Arcano maggiore del Matto dei Tarocchi.

 

Neppure l’antico cristianesimo esoterico, neppure la speculazione gnostica e alchemica, presentarono valori così sproporzionati dell’equazione umana. Neppure la poesia cortese, né lo stilnovo, né altre sette come i Fedeli d’amore, di cui lo stesso Dante fece parte, dichiararono, in lettura immediata, la donna così in alto, traducendo in termini artistici, figurativi nel nostro caso, la distanza smisurata che intercorre tra i due termini. Forse solo Dante è andato oltre a questo segno, indicando nella Vergine l’unica creatura del Paradiso capace di rivolgere lo sguardo in Dio, intercedendo per Dante la visione del divino.

 

Naturalmente il cristianesimo esoterico, la poesia cortese, lo stilnovo, la visione dantesca hanno visto idealmente la donna come colei che viene da cielo in terra a miracol mostrare, mentre qui non siamo nei valori trascendenti e dobbiamo attenerci solo all’immanenza.

 

 

 

Qualcosa della spiritualità di questa antica visione però permane anche nella sensibilità contemporanea e si percepisce come l’uomo vede ancora la propria vita come un compito, un dovere di realizzarsi in un perfezionamento umano attraverso una vicenda o avventura, che adombra quelle del cavaliere, dell’artefice, dell’eroe d’imprese, di fatiche, sofferenze, lotte, viaggi, al fine di uscire dalla categoria del puro elemento vivente e conseguir virtute e canoscenza.6 Più modestamente il blasone oggi è quello d’aver preso un ascensore sociale, essersi fatti da soli, essersi realizzati, venire dalla gavetta, avere origini contadine.

 

In questa visione antica, la donna invece entra nel mondo possedendo già il sigillo della grazia e l’ombra della bellezza divina: mentre l’uomo deve divenire essa già in pochi anni è donna certificata dal suo sviluppo fisico e organico. Nel mondo animale che ripete lo schema primordiale, le femmine guardano di lontano le lotte sanguinose, talvolta mortali, dei maschi che si contendono il diritto di realizzarsi, di essere tali completamente. In nessun modo invece è in dubbio la condizione elementare di femmina, il cui cammino verso lo stato completo di maternità è sicuro.

 

Stupisce guardare il regno di Esmeralda in tempi in cui la donna si considera come elemento debole, da riscattare, svillaneggiato, avvilito, violentato e ucciso, quindi ingiustamente soccombente sotto la forza e la brutalità maschile. A quali tensioni segrete può aver risposto la creazione di un simile emblema?7 Qui la donna appare in un’immagine trionfante, glorificata, quasi una realtà trascendente in un paradiso sia pure terreno, baudeleriano, e sta nel suo splendore carnale, proprio nel suo trionfo fisico dichiarato dalla nudità, mentre la controparte maschile arranca curva, sotto una chioma incolta, intabarrata e triste verso di lei, come verso una divinità.

 

Questa raffigurazione si trova proprio in un settore sensibile, culturale e artistico, quello del fumetto, dove si registrano e si enfatizzano le contraddizioni delle tensioni sociali e umane, di solito lontano da astrazioni filosofiche e da spiritualismi.

 

Come leggere questa raffigurazione che, rimandando ad archetipi omerici, quali Ulisse e Penelope, forse per questo è dotata di misteriosa forza che attanaglia una parte dell’animo, anche nel caso di persone che ignorano, o si credono lontanissime da considerazioni tra la simbologia e il trascendentale?

 

Sembra certo un fatto: Esmeralda esercita un fascino che inizialmente si crede legato alla bellezza fisica, all’attrazione sessuale, ma poi si rivela più profondo.

 

In lei, e nel suo correlato maschile, sta chiusa una cifra della nostra condizione attuale: nell’insieme rispecchia un nodo importante che sta, non nella parte attiva e cosciente della nostra mente, ma in quella zona sterminata e oscura, di cui abbiamo detto, fuori dagli orizzonti della coscienza, dove forse s’incontrano sia i germi che gli echi della vicenda umana, propagandosi in infiniti filamenti. Stiamo parlando appunto di queste oscure risonanze.

 

Osservando attentamente questa china di ferro si può trovare una sottile traccia interpretativa assai convincente, se si proietta nel mondo attuale la condizione dell’uomo e della donna. Si può avvertire allora un perché della sua stupefacente seduzione e del suo fascino che va oltre la bellezza fisica, pur concretizzandosi in quella estetica.

 

Si potrebbe rilevare che l’elemento della coppia che in questi tempi sta conquistando sempre più spazio e affermandosi in zone che gli erano un tempo interdette, è quello femminile, conquistando sempre più autonomia, responsabilità e potere, mostrando capacità che comunemente non le erano riconosciute. Ma non è questa la ragione determinante della sua prevalenza, è se mai la crisi del partener che non trova più il suo spazio.

 

Quell’uomo è un essere sperduto: è colui che ha scoperto trionfalmente l’energia atomica e ora vive ogni giorno nel terrore di esserne arso vivo; ha scoperto l’informatica e ne sta diventando rapidamente il suo schiavo; ha scoperto la manipolazione genetica e avverte di star evocando i mostri dall’inferno; si è inoltrato nello spazio, ma già si accorge che la mente è impotente a concepire dimensioni inafferrabili, fiabesche e realtà caleidoscopiche, mentre non conosce più neppure la dimensione della felicità, né la sua chimera, e non sa più nemmeno cosa chiedere al proprio destino. Per di più sta devastando la propria casa: sfrutta l’ambiente, lo deturpa, lo impoverisce e lo contamina, pensando già come abitazione ad altri pianeti, altri mondi vergini dove continuare la sua dissennata esistenza.

 

I miracoli della tecnica lo hanno sbalzato dal proprio monumento millenario: era l’elemento più forte della coppia, colui che provvedeva al mantenimento, alla protezione, difendendo la donna e la sua maternità: l’eroico lottatore che aveva trovato il suo modello in Ercole, l’intrepido viaggiatore che aveva trovato il campione in Ulisse.

 

Oggi basta una gru, un argano, una pompa, una carica esplosiva, un’arma, un farmaco, un veleno, un semplice congegno per annientare in un attimo queste prerogative. Così si è determinato un radicale rovesciamento e sovvertimento di posizioni, funzioni e valori, che ha annullato schemi millenari di comportamento che rimangono comunque radicati in quel tenebroso sotterraneo che è l’inconscio. Sono forze spesso incontrollabili, dure a morire, se mai moriranno, e potranno modificarsi solo col tempo in cui si sono formate: migliaia di anni.

 

Chi ha risentito di più di questo trauma è quindi l’uomo, che ha perduto il suo tradizionale ancoraggio con quel mondo che gli dava un posto di labile preminenza formale. Oggi, come il maschio alfa scornato e sbalzato dal suo posto di satrapo dal nuovo capo del branco, si aggira a distanza incredulo e senza rassegnarsi alla nuova condizione. Né sa trovare la strada che lo porti a un compito primario nel branco, tale che sia compatibile con la sua vecchia presunzione, con un primato che non ha più fondamento, avendo completato il ciclo biologico della sua funzione, che acquieti in qualche modo la sua istintiva e atavica volontà di dominio: tutte cose alle quali ancora non sa e non vuole rinunciare. Eppure rimane un termine ineludibile della coppia.

 

Anche la donna, sia pure con altri elementi, potenziando il ruolo di centro vitale della famiglia, attraversa questa crisi: anche lei è a uno snodo della storia della specie, dal quale non si sa come l’umanità uscirà, né se ne uscirà, ma per lei le cose stanno un po’ diversamente. Il suo radicamento alla natura è più forte di quanto sia quello dell’uomo, in quanto la vita si origina in collaborazione col maschile, ma passa poi decisamente attraverso di lei: è lei lo stampo di ogni esistenza e da qui, il fuoco, il crogiuolo, il nido, la casa e, mentre Penelope sta immobile sullo scoglio di Itaca in mezzo ai flutti, Ulisse vaga tra i marosi umani e marini, tenendo come stella polare la sua terra e la sua donna.

 

Restando nell’ordine dell’astrazione delle categorie generali, la donna condivide certo con l’uomo questo sovvertimento totale e vi partecipa, ma la sua barca non tronca mai le gomene sommerse che la legano alla vita naturale, che comunica immediatamente ai figli e continua a vivere in questi subito con l’allattamento e le cure materne.

 

Guardando alla visione arcaica del mito, che si considera maschilista, mentre abbiamo rare figure femminili della forza, come le Amazzoni o Artemide cacciatrice, abbiamo molte dee legate alla vita, all’amore, alla fecondità, alla terra, alla generazione, alla maternità, l’alma mater Era e, in cima a tutte, la Grande Madre Terra.

 

Gli studi antropologici vedono la donna come prima cultrice della terra, della coltivazione, della transizione e dell’insediamento nell’agricoltura. Non solo, ma lo stesso nome desueto del suo organo generatore è natura, Natura per eccellenza.

 

Oggi rispetto all’uomo ha una ben altra proiezione della sua figura sociale nell’organizzazione umana. Il diritto non può che riconoscerle, nel caso della divisione della coppia, la connessione inscindibile con la prole come un dato di fatto, e lei trova in questo nesso ineludibile una continuità vitale, una funzione, un senso, una realizzazione.

 

L’uomo, per sua costituzione, si è incamminato più di lei fuori della natura.8 Nel mondo che sta costruendo accanitamente con le proprie mani, neppure la sua attività generativa probabilmente sarà più necessaria: tutto potrà essere fatto anche senza di lui nel crogiuolo femminile. Ricerche biologiche hanno accertato che l’ovulo di certe specie animali può essere fecondato attivandolo con una semplice stimolazione, non necessariamente con l’intervento dell’inseminazione maschile e questo forse potrà avvenire anche per la specie umana.

 

Ciò che lo trascina in questa spericolata sfida è il suo spirito faustiano (poco condiviso da Margherita), la stessa sua caratteristica che lo ha reso l’elemento fascinoso e propulsivo della civilizzazione: la sete di conoscere, d’infrangere i limiti, scoprire, combattere, viaggiare, superare, vincere. Oggi non sa più se si trova al momento decisivo o a quello finale, tanto si è inoltrato nell’ignoto.

 

Sempre più si verifica nei nostri anni il crescere d’una rabbia, di un’insofferenza, un’aggressività maschile verso la femminilità, con eccidi che hanno preso un nome prima sconosciuto: femminicidio, gridando contro la mentalità arretrata, le ideologie, l’educazione e tanti altri fantasmi.

 

Pochi avvertono che la glorificazione di queste violenze avviene sotto gli occhi di tutti, quotidianamente, sui social e altrove con plausi e compensi e che tutto il rogo del vasto incendio si è concentrato nel sesso: l’apprendista stregone al quale le forze del mondo non si sottomettono più, non accetta che lo abbandoni anche la donna, le ossa delle sue ossa, e la incolpa di nuovo come nell’Eden: - La donna che mi desti per compagna mi ha dato il frutto e io ho mangiato.9

 

Pochi si chiedono se un fenomeno così diffuso, atroce e assurdo possa avere radici molto più profonde di quelle poche, banali motivazioni occasionali degli algoritmi ideologici che sbandierano i giornali e le televisioni. Si tratta forse d’un terribile sovvertimento del mondo, che squassa quegli equilibri mentali che hanno retto fino ad ora la convivenza umana.

 

Il maschio vede rapidamente sommergersi nei marosi l’ultimo suo atollo di cui, secondo i canoni arcaici, credeva essere ancora l’antico signore: la famiglia cade sotto i violenti colpi della modernità, della tecnica, della funzione e lui colpisce alla cieca quello che si trova davanti, senza conoscere (anche lui) le oscure forze, infinitamente più potenti cause della sua rovina, che porta proprio chiuse in se stesso. Avverte comunque oscuramente qualcosa di questa dinamica e, dopo la distruzione della realtà più amata, quella di cui non è può fare a meno, conclude spesso la sua follia con l’autodistruzione, il suicidio.

 

Così, a nostro avviso, possiamo avere una delle possibili letture di questa tavola quasi esoterica, individuare le forze della singolare seduzione che esercita, nascondendo ostinatamente le ragioni delle sue segrete fascinazioni.

 

In questa immagine ci rivediamo tutti: l’uomo nelle vesti di Rasputin che continua il suo eterno cammino verso la donna, la carne della propria carne e le ossa delle proprie ossa,10 come dice Adamo non appena vede Eva, l’unico essere che può colmare la sua solitudine. Oggi il suo cammino è diventato un vagare cieco, una ricerca non sa di cosa, del sempre di più, con un timore di scoprire la sua rovina, di trovarsi in un vuoto deserto, sotto una nuvolaglia sinistra in cui Esmeralda appare come un sogno incredibile.

 

Lei è lassù, com’era in altri modi per i trovatori, detentrice ancora dei suoi valori naturali che ha in quanto donna e, come tale, nessuno potrà mai toglierle. La sua esuberanza, la ricchezza che le sta intorno dicono che ora è lei la base della coppia, la mano destra del cielo. La sua bellezza è il richiamo a una misura, che proprio per essere antica ed elementare, è affidabile e costante. La sua gloria e la miseria della sua controparte sono due facce della stessa medaglia.

 

Tutto l’insieme ci dice che forse quel periodo di soggiorno dell’umanità sulla terra nelle forme proposte dal Creatore della Genesi: Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra,11 si sta concludendo. Il pomo è stato staccato dalla pianta del bene e del male e tutte le implicazioni devono necessariamente verificarsi: altri miraggi abbagliano gli umani. Ulisse è ancor più ramingo; Itaca è deserta e lontana; Penelope attende, ma irraggiungibile, nel rifugio dei suoi antichi reami che le apparterranno per sempre.

 

                                                                                                                                             Carlo Lapucci

 

 

 

 

 

1 Hermann Rorschach (1884-1922) ha creato, con molti anni di ricerche, un test fondamentale sull’indagine analogica del pensiero e dello stato d’animo, usando l’interpretazione che uno dà a dieci macchie simmetriche d’inchiostro, metodo le cui radici si ritrovano in Leonardo da Vinci e Botticelli. Non mi pare un caso che Rorschach sia il nome di un personaggio del fumetto Watchmen, della DC Comics, il quale indossa come maschera un cappuccio con macchie che si rifanno a quelle del test di Rorschach.

 

2 Northrop Frye, Il grande codice - La Bibbia e la letteratura, Einaudi Editore, Torino 1986, pag. 12. Scrive Northrop Frye: “L’uomo vive non direttamente e nudamente nella natura come gli animali, ma entro un universo mitologico, un corpo di assunzioni e di credenze sviluppato a partire dai suoi interessi esistenziali. Gran parte di questo universo viene conservato inconsciamente, e ciò significa che le nostre immaginazioni possono riconoscere alcuni dei suoi elementi senza comprendere a livello conscio che cos’è ciò che noi riconosciamo. Praticamente tutto ciò che possiamo scorgere di questo corpo d’interesse è socialmente condizionato e culturalmente ereditato. Sotto l’eredità culturale ci deve essere una comune eredità psicologica, altrimenti non ci sarebbero intellegibili quelle forme di cultura e immaginazione che si pongono fuori della nostra tradizione. Ma dubito della nostra capacità di raggiungere direttamente questa comune eredità, oltrepassando le qualità distintive della nostra specifica cultura. Una delle funzioni pratiche della critica… è, credo, quella di renderci maggiormente consapevoli del nostro condizionamento mitologico”.

 

3 N. Frye, Il grande codice, cit. pag. 25.

 

4 Compare in una raccolta di fumetti dal titolo Dedicated to Corto Maltese, pubblicato da Editori del Grifo a Montepulciano nel 1981, una raccolta di testi di vari autori dedicati a Corto Maltese di Hugo Pratt.

 

5 Richiama un’altra china di ferro: L’immortale, in cui un vecchio seduto in un giardino guarda una cornacchia che ha davanti, ma il riferimento porterebbe un po’ lontano da questo argomento.

 

6 Inferno XXVI, 120.

 

7 Per chi apprezza la lingua del caso in certe fortuite coincidenze il nome Esmeralda indica anche la pietra che convenzionalmente porta il colore verde erba della natura, della vegetazione.

 

8 Natura è termine desueto che indica propriamente tutto il mondo delle cose nel suo complesso: dagli atomi alle galassie, ma qui ci riferiamo a quello che normalmente denomina, tutti i fenomeni cosmici, ma visti dall’ottica terrestre e umana, nella vita minerale, vegetale e animale.

 

9 Genesi I, 12.

 

10 Genesi II, 23.

 

11 Genesi I, 28.

 

 

 

 


Avevo visto l'espressione China di Ferro ovviamente sul suo sito ma non ne avevo capito completamente l'origine.
Mi sono documentato adesso. In francese, la mia lingua materna, si dice "encre de chine" che in italiano sarebbe "inchiostro di Cina" (stranamente gli Anglosassoni dicono "Indian Ink"). Non ero sicuro del legame tra "china" e "Chine"-Cina.
Adesso ho capito e dirò la china di ferro.
Bello e giusto il testo.
La china di ferro è molto di più della semplice riproduzione dell'immagine del fumetto. Ha questa capacità di portare con se storia, se non vita, di acquisire una terza dimensione, non solo per questa capacità di proiettare ombra, ma anche semplicemente per la sua trasparenza che ne fa una cosa molto diversa di un disegno su carta, anche della stessa dimensione.
E infatti, la prima cosa che ho fatto dopo trovato il posto che mi piaceva (dopo un paio di altre prove) è stata di andare a comprare un faretto per creare l'ombra giusta (l'illuminazione non deve essere troppo forte, altrimenti l'ombra troppo nera crea solo confusione, perché l'originale e l'ombra non si distinguono più). Meglio non accendere la luce quando la si vuole guardare bene, ma con la luce accesa, l'ombra sembra darle vita, specialmente se uno si muove nella stanza.
Christian  


 


Salve,

ho appena ricevuto Black Angel; che dire, le fotografie non rendono giustizia alle sue creazioni, nel caso di Black Angel (poco prima di contattare direttamente lei avevo comprato Zanardi di Chinediferro) la grazia del tratto di Zezelj è accentuata dal contrasto tra i vuoti e i pieni della sagoma, Chinediferro è davvero un'opera meravigliosa, complimenti per il suo ottimo lavoro. Se posso permettermi di darle un consiglio, le proporrei di farsi un po' più di pubblicità, magari alle fiere del fumetto (ad Aprile ci sarà la nuova edizione del Romics), o anche tramite facebook... Sono molto soddisfatto, ancora grazie mille!

 

                                                                                                                                                            Natale                                                                                                                                                                                                   

 


L’immortale (per l’ultima volta) di Massimiliano Frezzato a Chinediferro – Montepulciano 9/12-1/2 - 2015-2016

Sono andata a Montepulciano pensando di vedere una “normale” mostra:

biglietto di ingresso, salone grande, molta gente, solite cose.
Invece trovo una mini bottega dal tipico charme toscano, purtroppo chiusa.

Faccio la sfacciata e chiamo il numero di cellulare affisso alla porta, mi risponde Giulio Pellegrini, proprietario della galleria e creatore di Chinediferro. Mi dice di aspettare, che sarebbe sceso di li a poco per aprirmi.
Intanto sbircio dentro e leggo qualcosa su Chinediferro… che cos’è?
Una collezione di silhouettes tagliate su lamiera d’acciaio, ideata appunto da Giulio Pellegrini insieme agli autori dei disegni: c’è Dylan Dog, Valentina, Corto Maltese, fanciulle di Manara, tutti insomma. Vanno da pochi centimetri ad altezza uomo, belli da vedere così come sono oppure proiettati su una parete o un telo.
Intanto scende Giulio, gentilissimo, disponibilissimo e generoso di parola.
Mi racconta di tutto e di più sulla mostra di Frezzato, sugli artisti che ha conosciuto e che conosce,

pettegolezzi e storie di vita.
La mostra è magnifica:

immagini a illustrazione della storia di Dracula in grigio, bianco e oro. Immagini che smuovono qualcosa dentro, che destano il serpente che giace nel dormiveglia dell’inconscio provocando una sensazione di disagio e attrazione allo stesso tempo. Gli ori imperiali quasi religiosi, i neri abissali e disperati. Inquietanti, appaganti e perfetti. Mi sento particolarmente fortunata perchè questa è l’ultima volta che questi originali si vedranno in mostra.
Nel retrobottega due dipinti grandissimi: uno di un Pulcinella con lo sguardo decisamente malefico mentre si sfila la maschera, l’altro un grifone stilizzato, simbolo della città di Montepulciano e città elettiva di Frezzato stesso.
E poi la pentola d’oro in fondo all’arcobaleno:Giulio mi regala 16 stampe della mostra generosamente messe a disposizione da Frezzato stesso per chi le volesse. Orgogliosa me li porto via, da guardare e riguardare, e da decidere quali appendere.
(Li appenderò tutti, ovvio!)
Vince il pomeriggio: l’intimità del tutto.L’arte non solo da osservare ma da vivere come una relazione interpersonale, umanissima.Un prendersi per mano per farsi accompagnare.
(E il vino e il tagliere dopo la mostra non erano nemmeno da buttare).

 

Silvia Tomatis

 


 Le Chinediferro di Giulio Pellegrini ,"metafore d’una struttura latente "

 

Le chinediferro di Giulio Pellegrini sono una di quelle germinazioni spontanee che vengono più dalle cose collegate immediatamente alla riflessione che dalla riflessione astratta e quindi hanno una loro forza primigenia interna con la quale occorre prendere contatto. Nel loro primo presentarsi mettono fuori strada. Appaiono come un gioco, una sfida d’abilità tecnica, e lo sono, poi ci si accorge che sono ben di più, sottraendosi a questa definizione come anche ad altre che possano inquadrarle in una categoria di rappresentazione già istituita nel campo dell’esperienza artistica. Sono in realtà essenzializzazioni di figure, in gran parte provenienti dal mondo fantastico, ma anche di figure reali, con un’operazione che richiama le schematizzazioni mitologiche relative a figure archetipiche o leggendarie.

 

Per arrivare ad aprire uno spiraglio sulla consistenza di queste creazioni occorre entrare nel paradosso di rappresentazioni le più evanescenti ottenute con la materia convenzionalmente più consistente e concreta: il ferro.

 

Davanti a un’immagine di Pellegrini, accade facilmente che questa si trasformi nel prototipo fantastico di quel personaggio, strettamente associata al punto di pensarlo un po’ in quell’eidos, segno che la figura è stata scavata nel profondo e quindi sigillata in quell'atto.

 

Questo mi appare un sentiero nuovo, quanto meno insolito, dell’espressività: la silhouette (che è ombra pietrificata, mentre le chine la proiettano) o altri generi simili non aiutano affatto a capire questo sortilegio il quale, oltre che sulla sua struttura esile, gioca su un'altra realtà evanescente e misteriosa: l'ombra. Con questa dialoga creando un'ulteriore ambiguità di un elemento forte, rigido che genera un altro se stesso più grande, più piccolo, enorme, ma impalpabile, duttile, morbido e labile.

 

Difficile sottrarsi a questa fascinazione che forse proietta nell’inconscio notizie, sensazioni, simboli altrettanto indefinibili, quanto forti e persistenti. È un problema, o un enigma, come lo è ogni espressione, ma assai complesso.

 

Per trovare qualcosa creata dalla natura che possa avere la stessa chiave mi pare di trovare forti analogie con la fascinazione e l’emblema della ragnatela.

 

Nelle chinediferro il disegno è la partenza, poi c’è tutto un lavoro che pare di natura solo tecnica e pratica, ma in definitiva è molto speculativo. Pellegrini scava l’immagine tracciata togliendone tutto il superfluo, il ridondante, l’ornamento, fino a ridurla a un telaio vitale dell’essere rappresentato. A ben guardare nelle chinediferro il corpo è costituito dal vuoto, mentre il segno, più esile possibile, più che determinare, accenna. Quello che si vede in realtà è il nulla, mentre il segno concreto del ferro guida l’occhio a scoprire il vuoto, a dare un senso allo spazio della figura. Il segno appare di qua, nel mondo materiale, ma la sua radice è di là, nella mente immateriale che lo ha ideato, nella forza che lo ha pensato.

 

I primitivi tracciavano pochissimi segni delle loro figure rupestri, sapevano che l’occhio, messo sulla strada, prosegue, integra, ricrea tutto il rimanente, scavandolo nella propria mente. Segnavano labirinti, spirali, mandala, chiudendo in questi geroglifici le forme fondamentali dell’universo e le realtà profonde, primarie del pensiero.

 

Le chinediferro sono molto vicine come natura alla ragnatela, la cui realizzazione sta nel non apparire, nell’esistere meno possibile, lasciando più integra possibile la presenza alla realtà che si vede attraverso di lei.

 

È lo stesso rapporto che di solito in filosofia si attribuisce all’esistenza e all’essenza. Questa, elemento impalpabile del pensiero o del pensabile, proietta lo schema del reale sul limite in cui si auto confina, limite che coincide col guscio della materialità, in cui, prende corpo l’oggetto esistente, come il fuoco del Brahman crea sul velo di Maya le ombre e le luci che sono il mondo.

 

Un’immagine di questo potrebbe essere l’esperimento del campo magnetico posto sotto un foglio in cui la forza invisibile, impercepibile dai sensi, determina la forma e la disposizione, il disegno visibile e concreto della limatura di ferro posta sopra la carta.

 

Questo gioco di vuoto e pieno, di materiale e immateriale, di visibile e invisibile, si realizza in modo diverso nella ragnatela, che fa apparire una realtà nel vuoto, nel nulla, per cui l’esistente è il vuoto catturato, stretto nelle maglie della tela che diviene il corpo della figura reale.

 

La stessa ambivalenza e ambiguità della ragnatela, velo posto tra la materia e lo spirito, si rintraccia in queste chinediferro di Pellegrini nelle quali è l’esile filo che quando si guarda si nasconde per rivelare il vuoto e, appena percepito il vuoto, torna a circoscriverlo guidando l’occhio facendo apparire l’immagine a un occhio interno immateriale. È il mistero in cui siamo immersi, dove quello che non è, diventa perennemente qualcosa.

 

Il processo di depurazione, eliminazione, essenzializzazione, scavo della figura per portare il ferro al limite compatibile col nulla, puro telaio autoreggente, senza un tratto di troppo, con le forze in perfetto equilibrio, è l’arte nuova di Giulio Pellegrini al quale chi ama la bellezza deve essere grato.

 

Prof. Carlo Lapucci

 

"Chinediferro "Quello strano incontro tra metallo e inchiostro

               articolo su "Toscana Oggi "del prima settimana di novembre 2018

                                                   scritto dal Prof.Carlo Lapucci

                                                   

 

Giulio Pellegrini, di Montepulciano,
ha ideato una tecnica che dà vita a silhouette tagliate
su lamiera d’acciaio. Dopo aver replicato da vari
artisti immagini della grafica, del fumetto,
del disegno, Pellegrini le trasferisce su una lamina
di ferro sottoponendole ad un lavoro di scavo
e di essenzializzazione al limite di quanto
il metallo consente e nel modo che richiede
la propria creatività

 

Sono nate a Montepulciano, terra dove l’arte si confonde con l’artigianato, le Chine di ferro, dette Chinediferro dal suo autore Giulio Pellegrini. Si tratta d’immagini come quelle che sono tracciate in nero con la china, che poi vengono materializzate nel ferro, ma in modo quasi etereo, per esprimere quello che d’immateriale sta al di là del segno. Una specie di magia, ma molto concreta.

 

Giulio Pellegrini vissuto, nel gruppo di grafici, fumettisti, disegnatori un tempo intorno alla Casa editrice Il Grifo, ha elaborato questa tecnica insieme al suo modo espressivo, realizzando immagini attraverso varie operazioni fino a che una figura viene tagliata nel metallo con la finezza del tratto di china, ma anche più netto attraverso un delicato lavoro col laser.

 

La sorpresa è che finora non avevamo visto un’operazione artistica nuova così elaborata e risolta fuori dagli schemi canonizzati quali ad esempio l’uso di materiali eterogenei o istallazioni.

 

Come hanno fatto altri in passato, o contemporanei come Andy Warhol, Pellegrini replica da artisti vari immagini della grafica, del fumetto, del disegno e le trasferisce su una lamina di ferro sottoponendole a un lavoro di scavo e di essenzializzazione al limite di quanto il metallo consente e nel modo che richiede la sua natura e la sua consistenza, uniti alla creatività dell’autore. È questa, mi pare la parte creativa della metamorfosi portando la figura a una specie di rinascita nella tridimensionalità, comunque in una dimensione diversa, quasi sospesa fuori del tempo, evidenziando un alcunché che è lo specifico della chinadiferro e adombra qualcosa la struttura interna dell’oggetto. Il fatto è che la sottilissima linea nera chiama a diventare elemento espressivo il vuoto, che forse più del segno diviene comunicante.

 

Uno sconcertante pensiero di Eraclito dice: La trama nascosta è più forte di quella manifesta (14 [A 20]): la realtà interna delle cose è determinante rispetto a quella esterna. Ciò che si vede dipende ed è sostenuto dalla realtà interiore che solo approssimativamente e vagamente si lascia percepire dai sensi, quello che aristotelicamente si direbbe forma, comunemente si dice anima, non in senso necessariamente religioso, ma nel senso di quell’elemento determinante che fa sì che una cosa sia quello che è.

 

Un esempio approssimativo potrebbe essere la realtà umana in cui sono determinati la memoria, i sentimenti, le speranze, la ragione, il carattere, ma anche il DNA e il patrimonio genetico: tutto ciò che è nascosto ed è riassunto alla buona in principio vitale, ciò che governa il sistema corporeo e non è percepibile che indirettamente.

 

Caratteristica di questo processo è il suo formarsi non in una linea teorica o speculativa, né in un progetto determinato, realizzandosi quasi per via naturale, nell’officina del moderno fabbro, prendendo forma nelle sue mani, nel suo lavoro, nell’attuarsi e integrarsi del riflettere col fare, della materia che guida il pensiero e viceversa.

 

L’arte in genere, e specificatamente alcune arti come la scultura, non sono lontane da questo programma: anche un quadro vale perché fa vedere proprio quello che non c’è. Guardando le chinediferro si comprende come una figura della nostra cultura diventa un’icona che rappresenta un modo di essere, un ideale, un simbolo un modello, da Tex Willer che ostenta la sicurezza infantile dell’eroe, a Valentina che pare trovarsi sotto l’albero del Paradiso terrestre, a Calamandrei, a Corto Maltese, a Pasolini a Che Guevara nel cui volto balena non tanto l’idolo, quanto l’immagine adorata di un sogno irrealizzabile inseguito dall’eroe sconfitto, vittorioso solo nel cuore dei seguaci: quello che Lorca dice di Ignacio: la tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria e in cui tutti un po’ si riconoscono.

 

Così Pellegrini ha elaborato una forma espressiva che crea stupore al primo impatto per la semplicità della realizzazione e per le complesse implicazioni dell’oggetto che esprime attraverso il vuoto la pienezza del proprio essere. È una tecnica che ci sembra situarsi tra le migliori realizzazioni della tradizione grafica e della sperimentazione moderna, prevedendo l’impiego di strumenti finora ignoti, sofisticati e d’alta precisione come il laser.

 Prof. Carlo Lapucci