PINOCCHIO

© Massimiliano Frezzato


L'IMMORTALE 

© Massimiliano Frezzato

Carlo Lapucci

 Le Chinediferro di Giulio Pellegrini:

 

L’uomo e la gazza: un dialogo senza parole con la Natura

 

Uno dei principi orientativi della psicologia pratica è che qualsiasi rappresentazione di carattere spontaneo, o creativo, non tecnico o intenzionale, fatta dall’uomo, contenga una traccia o un’estrinsecazione inconsapevole, un messaggio del suo stato d’animo dell’autore, di un suo modo di essere, di una condizione in cui si trova e del suo rapporto con la vita e il mondo. Basta saper leggere.

 

Lo sanno bene gl’investigatori e lo mostrano con evidenza i disegni dei bambini, nei quali i maestri leggono agevolmente gli elementi fondamentali della personalità d’uno scolaro come Freud ha letto nei dipinti, la Vergine delle rocce, e negli scritti di Leonardo da Vinci, i suoi drammi infantili e la condizione psichica, insieme alla personalità del grande artista. Altrettanto si può fare con qualunque elaborato d’un certo impegno, scegliendo bene il tema, il soggetto, la destinazione di un’opera e confrontando criticamente i vari elementi.

 

Questo per dire che le Chinediferro di Giulio Pellegrini, seguono spontaneamente questa procedura: far emergere la struttura latente di una figurazione di particolare valore, individuando un messaggio che è insito nell’opera anche al di là dell’intenzione di colui che ne è l’autore.

 

Viene qui a prendere forma un’operazione artistica sopra e all’interno di un’opera d’arte. Scegliere i soggetti particolarmente significativi, leggervi dentro un particolare valore, isolarli dal contesto in cui si trovano, essenzializzarli nei loro tratti fondamentali, stabilirli nei loro contorni fino a renderli espressivi anche fuori dell’ambito in cui sono nati, renderli autonomi in sé, nel loro gesto essenziale e nella loro elementare situazione. Ecco in cosa contiste l’operazione di Giulio che si conclude nel fissare nella sagoma metallica tutto quello che ha letto ed evidenziato nel suo originale. È un aspetto che appare chiarissimo nelle sagome di Tex e Valentina che, esercitando un fascino indefinibile, appaiono come idee d’uomo e di donna del nostro tempo.

 

È un’operazione che l’arte fa sull’arte, ricavando dall’originale un prodotto artistico nuovo, che c’era insito, ma nessuno vedeva. Si vale dunque d’una forma preesistente, dandole però altra espressività, altra valenza e altra vita. Ecco perché i veri artisti amano vedere le proprie opere passare nel mondo delle chinediferro, scoprendovi spesso a volte valori non immaginati coscientemente.

 

Di fronte a questa nuova operazione, sbaglia chi pensa o vi vede una sapiente copia, un calco accurato che trasferisce passivamente l’originale nella sagoma. Non è una copia, ma una lettura e una fedele interpretazione. Altrimenti non si spiega come talune chinediferro presentino figure che vivono di vita propria, s’imprimano nelle mente e nella memoria, si presentino con un significato proprio, palese o oscuro, e si fanno amare di per sé, portandosi dietro la loro storia sottintesa, e si rivelano elementi autonomi, indipendenti, arricchiti di altro significato, che magari era insito nell’originale, ma ora si evidenzia sottolineato, leggermente enfatizzato, arricchito di una dimensione nuova.

 

Tutto questo si ritrova nella sagoma tolta dall’opera L’Immortale di Massimiliano Frezzato: un complesso che occupa due pagine del volumetto. Nella china è una figurazione orizzontale di un uomo attempato, col cappello Borsalino, seduto su una panchina, sotto una pianta da lunghi rami orizzontali, su un tappeto di foglie morte. Ha davanti a sé una bella gazza, anche lei sull’erba e le foglie, che guarda l’uomo immobile, il quale, a sua volta la sta osservando. Una scena che si può facilmente osservare in un giardino pubblico, magari non con una gazza, uccello difficile e schivo, ma con un merlo, un colombo.

 

L’osservatore vi vede un uomo comune del nostro tempo, vissuto nel suo lavoro per lungo tempo separato dalla natura, che alla fine del suo viaggio, spaesato, cerca un nuovo ubi consistam e riavvicina un luogo naturale che lo possa riaccogliere. Ha deposto l’orgoglio di Tex, il suo piglio e la divisa di difensore d’una più o meno grande idea. Forse si era sentito proprio lui: l’ultimo selvaggio travestito da civile, che viaggiava a cavallo, dormiva sotto le stelle, viveva senza fissa dimora ed era il capo di un’ultima tribù di selvaggi.

 

La marea della vita lo ha spinto fino alla riva, poi si è ritirata e lo ha lasciato di nuovo sulla terra. Dopo l’approdo, il campione del nostro mondo, ha assunto le sembianze d’un pensionato che passa il tempo seduto su una panchina, girando al contrario la moviola della memoria, e guarda davanti a sé dove non c’è nulla, nemmeno quei lavori stradali che i pensionati amano seguire per ore, nelle loro lunghe mattinate. C’è il nulla che appare la vita dopo un lungo, cieco lavoro: lo dicono le foglie morte che lo circondano.

 

L’uomo di Frezzato è un po’ diverso: davanti a lui c’è qualcosa. È un uomo che molto tempo fa si è allontanato dalla natura, ha lasciato il grembo della grande Madre, ha vissuto in un mondo di calce, plastica, metallo, vetro, cifre, congegni, macchine e ora, tornato verso di lei, anche lei gli viene incontro, ancora amica, nelle forme d’un animale ciarliero, che parla la propria incomprensibile lingua, quella perduta dell’antica madre abbandonata. È una gazza elegante, quasi maestosa, ma è anche ladra per sua indole, e rivuole indietro quello che ha dato, qualcosa di molto prezioso, splendido, come le cose che amano rubare le gazze: ma qui si tratta della vita.

 

Lui è tornato alla natura e la natura è tornata a lui, misteriosa e fiera, quali sono questi uccelli, che Massimiliano Frezzato e Giulio Pellegrini conoscono bene, essendone piena la zona dove vivono, la Val di Chiana e la Val d’Orcia. Non a caso, quando l’uomo si libera dal lavoro e dalla fatica, trascorre quasi sempre il suo tempo libero tornando a contatto con la natura, con i suoi tempi, i silenzi e le sue voci. La vacanza, la vera vita, quella desiderata e scelta, è nella natura, col l’antico amore tradito.

 

Ma perché una gazza? Per quando abbiamo detto all’inizio in ogni complesso di segni che non sia uno scarabocchio (ma forse anche in quello) non c’è niente di fortuito, casuale, insignificante e nella simbologia occidentale la gazza è sempre la messaggera dell’ignoto, è una spia delle realtà superiori che stanno nella sfera celeste, un dominio dove lei sale per portare notizie della terra e prendere i comandi del cielo. Ora l’uomo parla con lei.

 

Infatti è ancora nella natura: è l’Immortale, ma la vegetazione si è ritirata intorno a lui formando una lingua che si protende e si perde in un vuoto sidereo, d’un bianco che le chinediferro sanno creare, mentre un ramo lo ricopre, si curva su di lui, lo protegge e lo chiama dentro una placenta vegetale che si chiude col tronco fino a congiungersi alla madre terra, coperta di foglie.

 

Con l’ultimo scatto d’istantanea si chiude la parabola dell’uomo contemporaneo e del suo sogno. Insofferente dei limiti, cede alla tentazione d’infrangerli, anche quelli della natura, cercando una vita che sia più vita, per accorgersi alla fine che dalla natura non potrà mai uscire con i propri mezzi, perché egli stesso è natura e i limiti sono i sostegni per i quali lui è lui. Oltre quei limiti c’è forse un’altra realtà (quella che con l’onirico, il virtuale, lo psichedelico, il narcotico si tenta coralmente di scalfire), ma che non gli appartiene come possibilità realizzabile.

 

Così ricade su se stesso, ascoltando il messaggio e ritrovandosi amico della gazza, alla quale non potrà che rivolgere la vera, eterna domanda importante: Chi sei tu? Chi sono? E la gazza, l’uccello che ama lo specchio e fugge abbagliata dentro il suo rutilante fulgore, la sapiente figura che da sempre abita la Val di Chiana e la Val d’Orcia, risponde nella sua antica lingua materna, facendo lo stesso verso, costruendo lo stesso nido, apparendo d’anno in anno dalla stessa siepe, avvicendandosi d’aprile in aprile, di covata in covata, sempre in sé diversa, ma apparendo e vivendo come se fosse sempre lo stesso, eterno, misterioso essere alato, lo stesso immutabile essere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


EROPINOCCHIO

© Massimiliano Frezzato

 


Campanellino disegno di Massimiliano Frezzato


 TOPINO

 © Massimiliano Frezzato