GIULIO PELLEGRINI
PALAZZO SQUARCIALUPI
Complesso dei musei del Santa Maria della Scala (SIENA)
in occasione della mostra "Periplo immaginario " di Hugo Pratt - 2005 -
A collection of silhouettes in steel plate. Designed by Giulio Pellegrini and the original artists. In compliance with applicable laws and duly licensed.
Ink and iron. An indelible liquid. A keen solid. Both black: liquid and solid blackness. Both leave their mark, trace their meaning, leave their trace. Both have the power to conjure a symbol. Symbols in black and white - the whiteness of a page upon which black ink is spilled, capturing in two dimensions the nuanced interplay of light and shadow from the solid world, the real world. The blackness cast by an iron silhouette bathed in the whiteness of a beam of light.
From this juxtaposition and intersection a dialogue between symbols is born. Thus the ability of comic strips to create worlds and stories is realized in its most literal and solid form, giving life to a series of immutable, instantly recognizable characters. Pop culture that climbs to the heights of mythology. Characters transformed into silhouettes - silhouettes which remain within the familiar confines of the two-dimensional page. But this page is of iron, unbendable, weighty, as solid as the real world and the objects and beings that cast real shadows. And indeed it is shadow - that symbol of ephemeral mutation and impermanence - that imparts real solidity to the engraved iron. Shadow becomes a form that embodies the silhouette’s ability to tell a story, its propensity for narrative. That narrative is, after all, the very shadow of the characters themselves.
Nane Cantatore
Wordmaker
Salve,
ho appena ricevuto Black Angel; che dire, le fotografie non rendono giustizia alle sue creazioni, nel caso di Black Angel (poco prima di contattare direttamente lei avevo comprato Zanardi di Chinediferro) la grazia del tratto di Zezelj è accentuata dal contrasto tra i vuoti e i pieni della sagoma, Chinediferro è davvero un'opera meravigliosa, complimenti per il suo ottimo lavoro. Se posso permettermi di darle un consiglio, le proporrei di farsi un po' più di pubblicità, magari alle fiere del fumetto (ad Aprile ci sarà la nuova edizione del Romics), o anche tramite facebook... Sono molto soddisfatto, ancora grazie mille!
Natale
L’immortale (per l’ultima volta) di Massimiliano Frezzato a Chinediferro – Montepulciano 9/12-1/2 - 2015-2016
Sono andata a Montepulciano pensando di vedere una “normale” mostra:
biglietto di ingresso, salone grande, molta gente, solite cose.
Invece trovo una mini bottega dal tipico charme toscano, purtroppo chiusa.
Faccio la sfacciata e chiamo il numero di cellulare affisso alla porta, mi risponde Giulio Pellegrini, proprietario della galleria e creatore di Chinediferro. Mi
dice di aspettare, che sarebbe sceso di li a poco per aprirmi.
Intanto sbircio dentro e leggo qualcosa su Chinediferro… che cos’è?
Una collezione di silhouettes tagliate su lamiera d’acciaio, ideata appunto da Giulio Pellegrini insieme agli autori dei disegni: c’è Dylan Dog, Valentina, Corto
Maltese, fanciulle di Manara, tutti insomma. Vanno da pochi centimetri ad altezza uomo, belli da vedere così come sono oppure proiettati su una parete o un telo.
Intanto scende Giulio, gentilissimo, disponibilissimo e generoso di parola.
Mi racconta di tutto e di più sulla mostra di Frezzato, sugli artisti che ha conosciuto e che conosce,
pettegolezzi e storie di vita.
La mostra è magnifica:
immagini a illustrazione della storia di Dracula in grigio, bianco e oro. Immagini che
smuovono qualcosa dentro, che destano il serpente che giace nel dormiveglia dell’inconscio provocando una sensazione di disagio e attrazione allo stesso tempo. Gli ori imperiali quasi religiosi,
i neri abissali e disperati. Inquietanti, appaganti e perfetti. Mi sento particolarmente fortunata perchè questa è l’ultima volta che questi originali si vedranno in mostra.
Nel retrobottega due dipinti grandissimi: uno di un Pulcinella con lo sguardo decisamente malefico mentre si sfila la maschera, l’altro un grifone stilizzato,
simbolo della città di Montepulciano e città elettiva di Frezzato stesso.
E poi la pentola d’oro in fondo all’arcobaleno:Giulio mi regala 16 stampe della mostra generosamente messe a disposizione da Frezzato stesso per chi le volesse.
Orgogliosa me li porto via, da guardare e riguardare, e da decidere quali appendere.
(Li appenderò tutti, ovvio!)
Vince il pomeriggio: l’intimità del tutto.L’arte non solo da osservare ma da vivere come una relazione interpersonale, umanissima.Un prendersi per mano per farsi
accompagnare.
(E il vino e il tagliere dopo la mostra non erano nemmeno da buttare).
Silvia Tomatis
Le Chinediferro di Giulio Pellegrini ,"metafore d’una struttura latente "
Le chinediferro di Giulio Pellegrini sono una di quelle germinazioni spontanee che vengono più dalle cose collegate immediatamente alla riflessione che dalla riflessione astratta e quindi hanno una loro forza primigenia interna con la quale occorre prendere contatto. Nel loro primo presentarsi mettono fuori strada. Appaiono come un gioco, una sfida d’abilità tecnica, e lo sono, poi ci si accorge che sono ben di più, sottraendosi a questa definizione come anche ad altre che possano inquadrarle in una categoria di rappresentazione già istituita nel campo dell’esperienza artistica. Sono in realtà essenzializzazioni di figure, in gran parte provenienti dal mondo fantastico, ma anche di figure reali, con un’operazione che richiama le schematizzazioni mitologiche relative a figure archetipiche o leggendarie.
Per arrivare ad aprire uno spiraglio sulla consistenza di queste creazioni occorre entrare nel paradosso di rappresentazioni le più evanescenti ottenute con la materia convenzionalmente più consistente e concreta: il ferro.
Davanti a un’immagine di Pellegrini, accade facilmente che questa si trasformi nel prototipo fantastico di quel personaggio, strettamente associata al punto di pensarlo un po’ in quell’eidos, segno che la figura è stata scavata nel profondo e quindi sigillata in quell'atto.
Questo mi appare un sentiero nuovo, quanto meno insolito, dell’espressività: la silhouette (che è ombra pietrificata, mentre le chine la proiettano) o altri generi simili non aiutano affatto a capire questo sortilegio il quale, oltre che sulla sua struttura esile, gioca su un'altra realtà evanescente e misteriosa: l'ombra. Con questa dialoga creando un'ulteriore ambiguità di un elemento forte, rigido che genera un altro se stesso più grande, più piccolo, enorme, ma impalpabile, duttile, morbido e labile.
Difficile sottrarsi a questa fascinazione che forse proietta nell’inconscio notizie, sensazioni, simboli altrettanto indefinibili, quanto forti e persistenti. È un problema, o un enigma, come lo è ogni espressione, ma assai complesso.
Per trovare qualcosa creata dalla natura che possa avere la stessa chiave mi pare di trovare forti analogie con la fascinazione e l’emblema della ragnatela.
Nelle chinediferro il disegno è la partenza, poi c’è tutto un lavoro che pare di natura solo tecnica e pratica, ma in definitiva è molto speculativo. Pellegrini scava l’immagine tracciata togliendone tutto il superfluo, il ridondante, l’ornamento, fino a ridurla a un telaio vitale dell’essere rappresentato. A ben guardare nelle chinediferro il corpo è costituito dal vuoto, mentre il segno, più esile possibile, più che determinare, accenna. Quello che si vede in realtà è il nulla, mentre il segno concreto del ferro guida l’occhio a scoprire il vuoto, a dare un senso allo spazio della figura. Il segno appare di qua, nel mondo materiale, ma la sua radice è di là, nella mente immateriale che lo ha ideato, nella forza che lo ha pensato.
I primitivi tracciavano pochissimi segni delle loro figure rupestri, sapevano che l’occhio, messo sulla strada, prosegue, integra, ricrea tutto il rimanente, scavandolo nella propria mente. Segnavano labirinti, spirali, mandala, chiudendo in questi geroglifici le forme fondamentali dell’universo e le realtà profonde, primarie del pensiero.
Le chinediferro sono molto vicine come natura alla ragnatela, la cui realizzazione sta nel non apparire, nell’esistere meno possibile, lasciando più integra possibile la presenza alla realtà che si vede attraverso di lei.
È lo stesso rapporto che di solito in filosofia si attribuisce all’esistenza e all’essenza. Questa, elemento impalpabile del pensiero o del pensabile, proietta lo schema del reale sul limite in cui si auto confina, limite che coincide col guscio della materialità, in cui, prende corpo l’oggetto esistente, come il fuoco del Brahman crea sul velo di Maya le ombre e le luci che sono il mondo.
Un’immagine di questo potrebbe essere l’esperimento del campo magnetico posto sotto un foglio in cui la forza invisibile, impercepibile dai sensi, determina la forma e la disposizione, il disegno visibile e concreto della limatura di ferro posta sopra la carta.
Questo gioco di vuoto e pieno, di materiale e immateriale, di visibile e invisibile, si realizza in modo diverso nella ragnatela, che fa apparire una realtà nel vuoto, nel nulla, per cui l’esistente è il vuoto catturato, stretto nelle maglie della tela che diviene il corpo della figura reale.
La stessa ambivalenza e ambiguità della ragnatela, velo posto tra la materia e lo spirito, si rintraccia in queste chinediferro di Pellegrini nelle quali è l’esile filo che quando si guarda si nasconde per rivelare il vuoto e, appena percepito il vuoto, torna a circoscriverlo guidando l’occhio facendo apparire l’immagine a un occhio interno immateriale. È il mistero in cui siamo immersi, dove quello che non è, diventa perennemente qualcosa.
Il processo di depurazione, eliminazione, essenzializzazione, scavo della figura per portare il ferro al limite compatibile col nulla, puro telaio autoreggente, senza un tratto di troppo, con le forze in perfetto equilibrio, è l’arte nuova di Giulio Pellegrini al quale chi ama la bellezza deve essere grato.
Prof. Carlo Lapucci
"Chinediferro "Quello strano incontro tra metallo e inchiostro
articolo su "Toscana Oggi "del prima settimana di novembre 2018
scritto dal Prof.Carlo Lapucci
Giulio Pellegrini, di Montepulciano,
ha ideato una tecnica che dà vita a silhouette tagliate
su lamiera d’acciaio. Dopo aver replicato da vari
artisti immagini della grafica, del fumetto,
del disegno, Pellegrini le trasferisce su una lamina
di ferro sottoponendole ad un lavoro di scavo
e di essenzializzazione al limite di quanto
il metallo consente e nel modo che richiede
la propria creatività
Sono nate a Montepulciano, terra dove l’arte si confonde con l’artigianato, le Chine di ferro, dette Chinediferro dal suo autore Giulio Pellegrini. Si tratta d’immagini come quelle che sono tracciate in nero con la china, che poi vengono materializzate nel ferro, ma in modo quasi etereo, per esprimere quello che d’immateriale sta al di là del segno. Una specie di magia, ma molto concreta.
Giulio Pellegrini vissuto, nel gruppo di grafici, fumettisti, disegnatori un tempo intorno alla Casa editrice Il Grifo, ha elaborato questa tecnica insieme al suo modo espressivo, realizzando immagini attraverso varie operazioni fino a che una figura viene tagliata nel metallo con la finezza del tratto di china, ma anche più netto attraverso un delicato lavoro col laser.
La sorpresa è che finora non avevamo visto un’operazione artistica nuova così elaborata e risolta fuori dagli schemi canonizzati quali ad esempio l’uso di materiali eterogenei o istallazioni.
Come hanno fatto altri in passato, o contemporanei come Andy Warhol, Pellegrini replica da artisti vari immagini della grafica, del fumetto, del disegno e le trasferisce su una lamina di ferro sottoponendole a un lavoro di scavo e di essenzializzazione al limite di quanto il metallo consente e nel modo che richiede la sua natura e la sua consistenza, uniti alla creatività dell’autore. È questa, mi pare la parte creativa della metamorfosi portando la figura a una specie di rinascita nella tridimensionalità, comunque in una dimensione diversa, quasi sospesa fuori del tempo, evidenziando un alcunché che è lo specifico della chinadiferro e adombra qualcosa la struttura interna dell’oggetto. Il fatto è che la sottilissima linea nera chiama a diventare elemento espressivo il vuoto, che forse più del segno diviene comunicante.
Uno sconcertante pensiero di Eraclito dice: La trama nascosta è più forte di quella manifesta (14 [A 20]): la realtà interna delle cose è determinante rispetto a quella esterna. Ciò che si vede dipende ed è sostenuto dalla realtà interiore che solo approssimativamente e vagamente si lascia percepire dai sensi, quello che aristotelicamente si direbbe forma, comunemente si dice anima, non in senso necessariamente religioso, ma nel senso di quell’elemento determinante che fa sì che una cosa sia quello che è.
Un esempio approssimativo potrebbe essere la realtà umana in cui sono determinati la memoria, i sentimenti, le speranze, la ragione, il carattere, ma anche il DNA e il patrimonio genetico: tutto ciò che è nascosto ed è riassunto alla buona in principio vitale, ciò che governa il sistema corporeo e non è percepibile che indirettamente.
Caratteristica di questo processo è il suo formarsi non in una linea teorica o speculativa, né in un progetto determinato, realizzandosi quasi per via naturale, nell’officina del moderno fabbro, prendendo forma nelle sue mani, nel suo lavoro, nell’attuarsi e integrarsi del riflettere col fare, della materia che guida il pensiero e viceversa.
L’arte in genere, e specificatamente alcune arti come la scultura, non sono lontane da questo programma: anche un quadro vale perché fa vedere proprio quello che non c’è. Guardando le chinediferro si comprende come una figura della nostra cultura diventa un’icona che rappresenta un modo di essere, un ideale, un simbolo un modello, da Tex Willer che ostenta la sicurezza infantile dell’eroe, a Valentina che pare trovarsi sotto l’albero del Paradiso terrestre, a Calamandrei, a Corto Maltese, a Pasolini a Che Guevara nel cui volto balena non tanto l’idolo, quanto l’immagine adorata di un sogno irrealizzabile inseguito dall’eroe sconfitto, vittorioso solo nel cuore dei seguaci: quello che Lorca dice di Ignacio: la tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria e in cui tutti un po’ si riconoscono.
Così Pellegrini ha elaborato una forma espressiva che crea stupore al primo impatto per la semplicità della realizzazione e per le complesse implicazioni dell’oggetto che esprime attraverso il vuoto la pienezza del proprio essere. È una tecnica che ci sembra situarsi tra le migliori realizzazioni della tradizione grafica e della sperimentazione moderna, prevedendo l’impiego di strumenti finora ignoti, sofisticati e d’alta precisione come il laser.
Prof. Carlo Lapucci
Il talento creativo – parlo di quello vero perchè oggi c’è molta impostura camuffata da creatività – è difficile da incontrare però molto facile da descrivere. Talento creativo ne ha in abbondanza Giulio Pellegrini e lo dimostra nelle sue sculture di acciaio che descrive come fatte con china di ferro. Questo artista unico, un insieme di disegnatore e scultore, rende vero il vecchio detto “che per fare una scultura basta togliere quello che c'é in più”. Questo è esattamente quello che fa Giulio, toglie dalla lamina di acciaio tutto quello che non serve e costruisce un' immagine dove il vuoto ha tanta importanza come un arabesco di metallo. Le sue meravigliose creazioni metalliche ci permettono di vedere attraverso di loro perchè il maestro “scolpisce lo spazio” rilasciando al vuoto un' entità concreta, e così fa in modo che il contorno che delinea l’opera sia come un elemento in più. Giulio si definisce un artigiano e io credo che questo sia vero, se accettiamo che lo furono anche i grandi scultori che lo precedettero, che mediante il lavoro manuale, con pochi strumenti e molto genio furono capaci di trasformare il marmo, il legno o il metallo in una bellezza viva e latente.
Artigiano o artista, non fa differenza, perché la cosa importante è che usando l’acciaio e lo spazio Giulio Pellegrini ci meraviglia con le sue straordinarie creazioni piene di armonia e di bellezza; ossia piene di trascendenza.
Enrique Breccia
Las creaciones de Giulio Pellegrini
El talento creativo – hablo del verdadero porque hoy hay mucha impostura disfrazada de creación - es difícil de encontrar pero muy fácil de describir. Talento creativo tiene en abundancia Giulio Pellegrini y lo demuestra en sus esculturas de acero que él describe como hechas con “tinta de hierro”. Este artista único y singular, mezcla de dibujante y escultor, hace realidad el viejo dicho que dice que para hacer una escultura, sólo hace falta “sacar todo lo que sobra”. Eso es exactamente lo que hace Giulio, saca de la chapa de acero todo lo que sobra y construye una imagen donde el vacío tiene tanta importancia como los arabescos de metal. Sus maravillosas creaciones metálicas nos permiten ver a través de ellas, y así el fondo es utilizado por el artista como un elemento más, como si tallara el aire. Giulio se define a sí mismo como un artesano y yo creo que es verdad, siempre y cuando aceptemos que también Miguel Ángel era un artesano que mediante el duro trabajo manual creaba belleza.
Artesano o artista, tanto dá, porque lo verdaderamente importante es que usando el acero y el aire, Giulio Pellegrini nos maravilla con sus extraordinarias creaciones plenas de armonía y de belleza; o sea, plenas de trascendencia.
Enrique Breccia