GIULIO PELLEGRINI

PALAZZO SQUARCIALUPI

Complesso dei musei del Santa Maria della Scala (SIENA) 

in occasione della mostra "Periplo immaginario " di Hugo Pratt - 2005 -

 

 

                                           
                     
                        
                           
Chine di ferro
Una collezione di silhouettes tagliate su lamiera d’acciaio, ideata da Giulio Pellegrini insieme agli Autori dei disegni.
Tutto nel rispetto delle norme vigenti e debitamente autorizzato.
China e ferro il liquido mordente che si asciuga e non si cancella, il solido che taglia.
Neri tutti e due. E tutti e due capaci di lasciare il segno, nati, progettati e concepiti per segnare. Segni che sono fatti di bianco e di nero, del bianco vuoto della pagina segnata dall’inchiostro, che simula il gioco di luci e di ombre del mondo solido e reale riprodotto sulle due dimensioni della pagina, e il bianco della luce, che si annerisce nell’ombra proiettata da una sagoma di ferro.
Chine di ferro nasce così,
come intersezioni tra materiali e come approfondimento di un rapporto tra segni in cui la capacità del fumetto di costruire
mondi e raccontare storie si solidifica nel suo tratto più evidente, la sua possibilità di dare vita ai personaggi,
a soggetti immutabili nella loro riconoscibilità di immagini sempre uguali a se stesse,
identità pop che assurgono a mitologia sorniona.
Personaggi che restano confinati nelle due dimensioni della pagina attraverso lo spessore minimo della sagoma,
ma una sagoma di materia che non si piega, che pesa e taglia,
dotata di quella reale solidità dell’esistente che si sostanzia nella capacità di proiettare un’ombra. E proprio l’ombra,
segno a sua volta di mutevolezza e di evanescenza, dà la vera solidità al ferro tagliato,
ne rappresenta e ne illustra la capacità di raccontare, di farsi storia - quella storia che è l’ombra del personaggio.
Nane Cantatore
Inventore di parole

A collection of silhouettes  in steel plate. Designed by Giulio Pellegrini and the original artists. In compliance with applicable laws and duly licensed.

 

Ink and iron.  An indelible liquid.  A keen solid.  Both black: liquid and solid blackness. Both leave their mark, trace their meaning, leave their trace. Both have the power to conjure a symbol. Symbols in black and white - the whiteness of a page upon which black ink is spilled, capturing in two dimensions the nuanced interplay of light and shadow from the solid world, the real world. The blackness cast by an iron silhouette bathed in the whiteness of a beam of light.

From this juxtaposition and intersection a dialogue between symbols is born. Thus the ability of comic strips to create worlds and stories is realized in its most literal and solid form, giving life to a series of immutable, instantly recognizable characters. Pop culture that climbs to the heights of mythology. Characters transformed into silhouettes - silhouettes which remain within the familiar confines of the two-dimensional page. But this page is of iron, unbendable, weighty, as solid as the real world and the objects and beings that cast real shadows. And indeed it is shadow - that symbol of ephemeral mutation and impermanence - that imparts real solidity to the engraved iron. Shadow becomes a form that embodies the silhouette’s ability to tell a story, its propensity for narrative. That narrative is, after all, the very shadow of the characters themselves.

Nane Cantatore

Wordmaker      

 Le Chinediferro di Giulio Pellegrini ,"metafore d’una struttura latente "

Le chinediferro di Giulio Pellegrini sono una di quelle germinazioni spontanee che vengono più dalle cose collegate immediatamente alla riflessione che dalla riflessione astratta e quindi hanno una loro forza primigenia interna con la quale occorre prendere contatto. Nel loro primo presentarsi mettono fuori strada. Appaiono come un gioco, una sfida d’abilità tecnica, e lo sono, poi ci si accorge che sono ben di più, sottraendosi a questa definizione come anche ad altre che possano inquadrarle in una categoria di rappresentazione già istituita nel campo dell’esperienza artistica. Sono in realtà essenzializzazioni di figure, in gran parte provenienti dal mondo fantastico, ma anche di figure reali, con un’operazione che richiama le schematizzazioni mitologiche relative a figure archetipiche o leggendarie.

 

Per arrivare ad aprire uno spiraglio sulla consistenza di queste creazioni occorre entrare nel paradosso di rappresentazioni le più evanescenti ottenute con la materia convenzionalmente più consistente e concreta: il ferro.

 

Davanti a un’immagine di Pellegrini, accade facilmente che questa si trasformi nel prototipo fantastico di quel personaggio, strettamente associata al punto di pensarlo un po’ in quell’eidos, segno che la figura è stata scavata nel profondo e quindi sigillata in quell'atto.

 

Questo mi appare un sentiero nuovo, quanto meno insolito, dell’espressività: la silhouette (che è ombra pietrificata, mentre le chine la proiettano) o altri generi simili non aiutano affatto a capire questo sortilegio il quale, oltre che sulla sua struttura esile, gioca su un'altra realtà evanescente e misteriosa: l'ombra. Con questa dialoga creando un'ulteriore ambiguità di un elemento forte, rigido che genera un altro se stesso più grande, più piccolo, enorme, ma impalpabile, duttile, morbido e labile.

 

Difficile sottrarsi a questa fascinazione che forse proietta nell’inconscio notizie, sensazioni, simboli altrettanto indefinibili, quanto forti e persistenti. È un problema, o un enigma, come lo è ogni espressione, ma assai complesso.

 

Per trovare qualcosa creata dalla natura che possa avere la stessa chiave mi pare di trovare forti analogie con la fascinazione e l’emblema della ragnatela.

 

Nelle chinediferro il disegno è la partenza, poi c’è tutto un lavoro che pare di natura solo tecnica e pratica, ma in definitiva è molto speculativo. Pellegrini scava l’immagine tracciata togliendone tutto il superfluo, il ridondante, l’ornamento, fino a ridurla a un telaio vitale dell’essere rappresentato. A ben guardare nelle chinediferro il corpo è costituito dal vuoto, mentre il segno, più esile possibile, più che determinare, accenna. Quello che si vede in realtà è il nulla, mentre il segno concreto del ferro guida l’occhio a scoprire il vuoto, a dare un senso allo spazio della figura. Il segno appare di qua, nel mondo materiale, ma la sua radice è di là, nella mente immateriale che lo ha ideato, nella forza che lo ha pensato.

 

I primitivi tracciavano pochissimi segni delle loro figure rupestri, sapevano che l’occhio, messo sulla strada, prosegue, integra, ricrea tutto il rimanente, scavandolo nella propria mente. Segnavano labirinti, spirali, mandala, chiudendo in questi geroglifici le forme fondamentali dell’universo e le realtà profonde, primarie del pensiero.

 

Le chinediferro sono molto vicine come natura alla ragnatela, la cui realizzazione sta nel non apparire, nell’esistere meno possibile, lasciando più integra possibile la presenza alla realtà che si vede attraverso di lei.

 

È lo stesso rapporto che di solito in filosofia si attribuisce all’esistenza e all’essenza. Questa, elemento impalpabile del pensiero o del pensabile, proietta lo schema del reale sul limite in cui si auto confina, limite che coincide col guscio della materialità, in cui, prende corpo l’oggetto esistente, come il fuoco del Brahman crea sul velo di Maya le ombre e le luci che sono il mondo.

 

Un’immagine di questo potrebbe essere l’esperimento del campo magnetico posto sotto un foglio in cui la forza invisibile, impercepibile dai sensi, determina la forma e la disposizione, il disegno visibile e concreto della limatura di ferro posta sopra la carta.

 

Questo gioco di vuoto e pieno, di materiale e immateriale, di visibile e invisibile, si realizza in modo diverso nella ragnatela, che fa apparire una realtà nel vuoto, nel nulla, per cui l’esistente è il vuoto catturato, stretto nelle maglie della tela che diviene il corpo della figura reale.

 

La stessa ambivalenza e ambiguità della ragnatela, velo posto tra la materia e lo spirito, si rintraccia in queste chinediferro di Pellegrini nelle quali è l’esile filo che quando si guarda si nasconde per rivelare il vuoto e, appena percepito il vuoto, torna a circoscriverlo guidando l’occhio facendo apparire l’immagine a un occhio interno immateriale. È il mistero in cui siamo immersi, dove quello che non è, diventa perennemente qualcosa.

 

Il processo di depurazione, eliminazione, essenzializzazione, scavo della figura per portare il ferro al limite compatibile col nulla, puro telaio autoreggente, senza un tratto di troppo, con le forze in perfetto equilibrio, è l’arte nuova di Giulio Pellegrini al quale chi ama la bellezza deve essere grato.

 

Prof. Carlo Lapucci


Le creazioni di Giulio Pellegrini - scritto da Enrique Breccia -

Il talento creativo – parlo di quello vero perchè oggi c’è molta impostura camuffata da creatività – è difficile da incontrare però molto facile da descrivere. Talento creativo ne ha in abbondanza Giulio Pellegrini e lo dimostra nelle sue sculture di acciaio che descrive come fatte con china di ferro. Questo artista unico, un insieme di disegnatore e scultore, rende vero il vecchio detto “che per fare una scultura basta togliere quello che c'é in più”. Questo è esattamente quello che fa Giulio, toglie dalla lamina di acciaio tutto quello che non serve e costruisce un' immagine dove il vuoto ha tanta importanza come un arabesco di metallo. Le sue meravigliose creazioni metalliche ci permettono di vedere attraverso di loro perchè il maestro “scolpisce lo spazio” rilasciando al vuoto un' entità concreta, e così fa in modo che il contorno che delinea l’opera sia come un elemento in più. Giulio si definisce un artigiano e io credo che questo sia vero, se accettiamo che lo furono anche i grandi scultori che lo precedettero, che mediante il lavoro manuale, con pochi strumenti e molto genio furono capaci di trasformare il marmo, il legno o il metallo in una bellezza viva e latente.

Artigiano o artista, non fa differenza, perché la cosa importante è che usando l’acciaio e lo spazio Giulio Pellegrini ci meraviglia con le sue straordinarie creazioni piene di armonia e di bellezza; ossia piene di trascendenza.

 

Enrique Breccia

 Las creaciones de Giulio Pellegrini

 

El talento creativo – hablo del verdadero porque hoy hay mucha impostura disfrazada de creación - es difícil de encontrar pero muy fácil de describir. Talento creativo tiene en abundancia Giulio Pellegrini y lo demuestra en sus esculturas de acero que él describe como hechas con “tinta de hierro”. Este artista único y singular, mezcla de dibujante y escultor, hace realidad el viejo dicho que dice que para hacer una escultura, sólo hace falta “sacar todo lo que sobra”. Eso es exactamente lo que hace Giulio, saca de la chapa de acero todo lo que sobra y construye una imagen donde el vacío tiene tanta importancia como los arabescos de metal. Sus maravillosas creaciones metálicas nos permiten ver a través de ellas, y así el fondo es utilizado por el artista como un elemento más, como si tallara el aire. Giulio se define a sí mismo como un artesano y yo creo que es verdad, siempre y cuando aceptemos que también Miguel Ángel era un artesano que mediante el duro trabajo manual creaba belleza.

Artesano o artista, tanto dá, porque lo verdaderamente importante es que usando el acero y el aire, Giulio Pellegrini nos maravilla con sus extraordinarias creaciones  plenas de armonía y de belleza; o sea, plenas de trascendencia.       

                                                                                                                                                               

                                                                                                                                                               Enrique Breccia